Il progetto Miele June nasce nell’estate del 1994, quando il bassista Stelvio Attanasi e il cantante Gianni D’Attis si incontrano nei corridoi dell’Università degli Studi di Lecce. Entrambi provengono da esperienze in altre formazioni locali e hanno in comune l’idea di formare un gruppo con testi cantati in italiano e un’impronta pop-noise aperta a
sperimentazioni sonore.
Durante il primo anno di attività, la band – alla quale nel frattempo si è aggiunto Stefano Carlà alla chitarra – si esibisce nei primi concerti dal vivo, fatica a trovare un batterista fisso e incide un demo tape utile a trovare ingaggi nei locali. Nel 1996 i Miele June (che nel frattempo hanno trovato in Andrea Attanasi il loro “uomo dei tamburi”) firmano per la Magenta Records, etichetta che pubblica il primo mini-Lp omonimo registrato in tre giorni da Nanni Surace. Le note di copertina del disco
sono firmate dal critico musicale Giancarlo Susanna. Il debutto contiene 6 brani e attira rapidamente l’attenzione della stampa specializzata. La band macina chilometri e concerti e nel frattempo il dimissionario Stefano Carlà è stato sostituito da Michele Manco, proveniente dai Jeremy.
Di questo periodo la band ricorda: “I concerti andavano bene ma eravamo costantemente in perdita. Alla fine di ogni esibizione c’erano amplificatori da riparare, cavi e aste dei microfoni da sostituire, e così via. Era divertente, ma il nostro luogo preferito è sempre stato lo studio di registrazione, dove potevamo mettere a fuoco nuove idee, giocare con i suoni. Era il nostro parco giochi.” L’interesse verso formazioni coeve o del passato (Primal Scream, Sonic Youth o i tedeschi Can) spinge il quartetto verso una struttura aperta che possa accogliere e inglobare esperienze e contributi esterni: Soneryl, il secondo disco, registrato e mixato
da Nanni Surace tra novembre e dicembre del 1997 e pubblicato nella primavera successiva, è il frutto di un anno on the road ma anche di collaborazioni (tra tutte quella con il collettivo d’arte concettuale Interzone, per il quale compongono la musica di un’installazione) e di esperimenti in studio.
Ricorda Gianni: “Soneryl ha due anime: una pop, l’altra decisamente più sperimentale. In quel periodo ero in fissa con i field recordings di Brian Eno e, prima di entrare in studio, avevo messo insieme delle cassette con voci e rumori pescati per strada o da varie stazioni radio che poi buttammo in un campionatore. Se ascolti il disco in cuffia è decisamente un altro viaggio.” Alle registrazioni partecipano musicisti di estrazione classica, jazz e rock (Severino Argentiere al pianoforte; Marco Mancarella al Moog; Cesare Liaci e Stefano Todisco degli Psycho Sun ai cori). Appena uscito, l’album viene salutato molto positivamente da pubblico e critica. La band fa altri concerti, esce dai confini pugliesi, apre i live di Uzeda, Diaframma, Frankie hi-nrg mc.
“La data del tour a Catania fu un magnifico delirio. Un’ora prima che aprissero le porte del Taxi Driver, il locale che ci ospitava, la gente era in fila per noi. Andammo a dormire che era già spuntato il sole, perché dopo la nostra esibizione fummo presi in ostaggio da un gruppo di fans che ci portò in giro a vedere la città di notte tra cassate, cannoli, gelati al pistacchio, club in cui si ballava la techno.”
Nel settembre del 1999, Gianni e Stelvio si trasferiscono a Roma, Andrea sulle colline toscane: “L’idea di un terzo disco era nell’aria, avevamo cominciato a comporre un po’ di brani nuovi, due dei quali registrati e mixati. Poi tutto andò a rotoli, vai a capire perché.
Avevamo problemi economici e anche, probabilmente, voglia di misurarci come singoli con esperienze differenti. Io, ad esempio, stavo lavorando al mio primo romanzo.”, dice Gianni. In breve, quel terzo lavoro diventa “il disco fantasma dei Miele June”. Sono trascorsi 22 anni da allora, e la band ha deciso di chiudere il cerchio a suo modo: non una reunion ma un E.p. con quattro inediti “d’epoca” rifiniti e remixati, ciò che resta di “quel disco
abortito, abbandonato in un limbo, eppure diventato nel tempo una specie di chiodo fisso per noi quattro.”
Nel corso del 2020, in pieno lockdown, i brani vengono ultimati sotto la supervisione di Stelvio. Una telefonata a Michele risveglia il vecchio leone della chitarra che oggi vive isolato da qualche parte nelle campagne salentine. La Lobello Records si offre di pubblicarlo. L’artista Franco G. Livera firma il videoclip de Il Resto del mondo.
“Abbiamo deciso di chiamarlo Strategie del perdersi. Perché poi come persone e come musicisti, alla fine ci siamo ritrovati, e questa è la parte più bella della storia. Come altro avremmo potuto intitolarlo?”