“SONICA” è il titolo della selezione di fotografie di Guido Harari, ospite quest’anno del Locus Festival 2020 “Limited Edition”, che saranno in mostra da domenica 9 agosto a Locorotondo.
Guido Harari è un fotografo che nei primi anni Settanta ha avviato la duplice professione di fotografo e di giornalista musicale, contribuendo a porre le basi di un lavoro specialistico sino ad allora senza precedenti in Italia. Ha realizzato la sua prima intervista quando era ancora un adolescente e durante tutta la sua carriera è entrato in contatto con artisti internazionali, come Lou Reed, Frank Zappa, Jimi Handrix, David Bowie. In Italia ha collaborato con Fabrizio De Andrè, Giorgio Gaber, Pino Daniele e molti altri.
La sua scelta è stata proprio quella di unificare due grandi passioni, musica e fotografia, e farne un lavoro. Le sue non sono solo fotografie, sono un potente mezzo attraverso cui è riuscito a scoprire chi erano le persone dietro i personaggi oggetto dei suoi scatti. Le sue fotografie ci danno, dunque, la possibilità di vedere la musicae ascoltare le immagini, anche perché, come afferma lui stesso, “ascoltare la musica senza avere queste immagini negli occhi è sostanzialmente impossibile”. È questo quello che ci aspettiamo dalle fotografie che saranno esposte lungo le strade di Locorotondo dal 9 al 23 agosto: rivivere la potenza intrinseca della musica di anni che rappresentano parte integrante della storia della musica e non, attraverso lo sguardo personale di Guido Harari, quasi come se guardassimo il suo diario personale fatto di immagini.
Il 9 agosto, alle ore 18:00 si terrà anche un talk con il fotografo, nel panel “Vedere la musica, ascoltare le immagini“, introdotto da Nicola Gaeta.
Una puntata speciale del programma sulla fotografia Rumore, vedrà come protagonista proprio il fotografo Guido Harari. Abbiamo avuto il piacere di intervistarlo e di fargli qualche domanda, intavolando un’interessante conversazione che ci ha riportati un po’ indietro, in quegli anni meravigliosi, attraverso le sue parole. Durante l’intervista si è spaziato dalla fotografia alla musica, ripercorrendo quelle che sono state le sue esperienze, i suoi ricordi e le sue emozioni, fino a giungere a parlare della mostra “SONICA”, di cosa rappresenta e di come sarà strutturata.
La puntata andrà in onda martedì 4 agosto alle ore 18.00. Non perdetevi per nessun motivo al mondo le parole di qusto fotografo così ricco di storie e di passione. Per ora godetevi questa piccola anteprima dell’intervista.
Il 7 agosto verrà innaugurato Phest, il festival internazionale di fotografia e arte di Monopoli che, con l’hashtag #PHESTchiamaTERRA, dà via alla social call.
Nonostante le difficoltà e i momenti bui che il lockdown ha portato con sé, non è mai stata messa in discussione la possibilità di organizzare questa quinta edizione del festival. E’ un traguardo a cui l’associazione e lo staff di PhEST hanno risposto mettendosi al lavoro ancor più duramente, per anticipare di un mese l’inizio della mostra e renderla completamente fruibile al pubblico, per garantire ai visitatori di poterla visitare in piena sicurezza.
Il tema scelto per la quinta edizione è “TERRA” inteso nel senso di pianeta Terra, che verrà mostrato ai visitatori, ma anche nell’accezione di mondo contadino e riscoperta del suo valore. Un tema che anche quest’anno è in simbiosi perfetta con l’attualità e la situazione di isolamento e distanziamento individuale che stiamo vivendo, che però deve e può aiutarci a ritrovare l’essenza delle cose e il contatto con la terra per ripartire da essa.
La Social Call
Il direttore artistico del festival, Giovanni Trilo, assicura che partecipare a #PhESTchiamaTERRA! è molto semplice. Ciò che bisogna fare è scegliere una fotografia di un luogo, un pezzettino di Terra in cui vivete o siete stati in passato, senza limiti geografici, scrivere il nome della località immortalata nella foto e pubblicarla sulla propria pagina Instagram o Facebook, condividendola con gli organizzatori del Festival usando l’hashtag #PHESTCHIAMATERRA. Alcuni degli scatti che arriveranno saranno selezionati e condivisi sui canali social di PhEST e in più alcune delle foto faranno parte di un’installazione dedicata di PhEST2020.
“Immersi in una rete di connessioni digitali, rimangono ancora importanti e vitali i legami che abbiamo con i luoghi, gli spazi fisici che viviamo e scopriamo. Le città o Paesi in cui siamo cresciuti, in cui lavoriamo, quelli che visitiamo nei nostri viaggi, quelli a volte dimenticati, quelli conosciuti per caso, quelli che “se chiudiamo gli occhi” ci vediamo proprio lì. Insomma, quegli angoli di Terra con cui abbiamo un legame, dove troviamo la nostra connessione. Sono i paesaggi (naturali o urbani) e i suoi elementi che, filtrati dai nostri sguardi e gesti, ci portiamo dentro e diventano la nostra idea di mondo. E perciò se PhEST chiama Terra, chi dovrà rispondere? Voi, naturalmente! Con le vostre foto da qualunque angolo del mondo in cui vi trovate o siete stati!”. Questo il principio da cui nasce l’iniziativa, che possiamo leggere sulla pagina Facebook di PhEST che quest’anno festeggia i suoi primi cinque anni di vita.
Gli eventi a luglio
Non sarà necessario aspettare agosto per immergersi nell’arte: a fine luglio è prevista la residenza artistica dello street artist di fama internazionale Millo, originario di Mesagne (Brindisi), che realizzerà un murales in grande scala su una parete cittadina ancora non rivelata, che si aggiungerà agli oltre 120 murales a sua firma sparsi per tutto il mondo. Francesco Camillo Giorgino, in arte Millo, è uno street artist italiano che spicca per i suoi murales in bianco e nero caratterizzati dall’uso del colore solo per alcuni particolari. Sono tantissime le sue partecipazioni a diversi Street Art Festival in giro per l’Europa e molte sue opere sono esposte a Roma, Milano, Bologna, Firenze, Londra, Parigi, Lussemburgo e Rio de Janeiro. Ciò che realizza con i suoi murales non è una semplice opera d’arte, è una ricerca estetica assolutamente personale e unica, che si concentra sull’emotività, sulle paure, sulle incertezze… in generale sulla fragilità dell’essere umano. E’ un approccio a tuttotondo che indaga non solo ciò che esiste all’esterno di ognuno di noi, ma in particolare ciò che si nasconde al nostro interno, due lati della stessa medaglia inscindibili tra loro.
Gli artisti
Tra gli artisti che sono stati già confermati, Jacob Balzani Lööv, fotografo italo-svedese, amante di storie di persone fortemente legate a un luogo, ad una terra. Porterà con sé il progetto Ustica, vincitore della “Solo Exhibition” a PhEST con il PHmuseum Grant, che da tre anni è partner dell’associazione culturale PhEST, organizzatrice del Festival internazionale di fotografia e arte a Monopoli. Attraverso la mostra potremo scoprire la storia di Ustica, un’isola che prende il nome dalla parola latina ustum, “bruciato” e che ai Greci era nota come Osteodes, “ossario”, da alcuni ritenuta dimora della maga Circe, citata nell’Odissea come colei che trasformava gli incauti visitatori in maiali. Un luogo che al tempo dei Borbone fu anche un luogo di confino e che durante il regime fascista lo fu in particolare per oppositori politici tra cui Gramsci e Bordiga. Quando sembrava che l’isola stesse rinascendo, fu colpita da quella che è nota come la Strage di Ustica, avvenuta il 27 giugno 1980. A 115 chilometri dall’isola, un aereo di linea si schiantò in acqua senza lasciare sopravvissuti. Da quel giorno Ustica cessò di essere isola e divenne un massacro. L’idea di combinare le immagini della vita che si conduce sull’isola accanto a paesaggi legati alla tragedia, vuole dare uno spunto per pensare al legame tra due significati antitetici, alla nascita improvvisa di questa connessione e alle sue conseguenze. Dopo quarant’anni dal massacro, la fotografia ci permette di attraversare la storia dell’isola e di onorare le 81 vittime, ma al contempo di riportare Ustica al suo significato originale.
Anche quest’anno il Festival avrà il patrocinio dell’Assessorato all’Industria Turistica e Culturale della Regione Puglia, del Comune di Monopoli, di PugliaPromozione e dell’Apulia Film Commission. PhEST è fotografia, cinema, musica, arte, contaminazioni dal Mediterraneo. Nasce da una necessità: provare a restituire una voce propria alle mille identità che compongono il mare in mezzo alle terre, e ridefinire un immaginario proprio e nuovo. L’area geografica di interesse, mai davvero restrittiva e sempre pronta a modificarsi, a estendersi, a focalizzarsi, coincide con la naturale panoramica di quello sguardo da qui, da Monopoli, dalla Puglia: il Mediterraneo, i Balcani, il Medio Oriente, l’Africa e oltre.
La puntata di questo Martedì ha visto come protagoniste le copertine di album musicali di alcuni dei più famosi artisti di sempre. Molti pensano che non ci siano reali correlazioni tra la fotgrafia e arti appartenenti a sfere sensoriali diverse, come la musica. Il legame tra loro è invece molto forte: si crea quasi una nuova arte in grado di comunicare ed esprimere con vista e udito, cosicchè la musica riesca a potenziare il significato delle immagini, e a loro volta le immagini prendano vita con la musica.
Ascolta la puntata:
E’ ormai immediato collegare le immagini degli album musicali agli artisti ad essi corrispondenti. Esiste una vera e propria storia fotografico-musicale delle copertine dei dischi, ad oggi molto curate sul piano grafico, ma quasi sempre nate da una fotografia e un tempo quasi esclusivamente realizzate con immagini fotografiche.
La copertina di un disco e’ parte essenziale del significato e dell’immaginario che un album vuole comunicare. I destini di artisti o fotografi e musicisti si sono spesso intrecciati e hanno dato vita a dei capolavori grafici che non si sono limitati ad illustrare un album, ma sono diventati anche simboli di una generazione o di un genere musicale: la banana di Andy Warhol per i Velvet Underground o il prisma di Storm Thorgerson per i Pink Floyd, ad esempio.
Se parliamo di fotografia, non è possibile non parlare di uno degli scatti più iconici di sempre: la copertina dell’album dei Beatles, Abbey Road, una fotografia che contiene più simboli di quello che possiamo immaginare e che nessuno può eliminare dalla propria mente. Il neonato sottacqua di Nevermind dei Nirvana, Ziggy Sturdust sulla copertina di Aladdin Sane, una delle immagini più famose di David Bowie… impossibile dimenticarle.
Questo e molto altro nella puntata di Rumore andata in onda Martedì alle 18.00.
Martedì è andata in onda una puntata di Rumore diversa dal solito. Si è parlato, infatti, di fotografie famose realizzate da fotografi illustri, che hanno ispirato registi che sicuramente conoscete. Clint Eastwood, Stanley Kubrick, Steven Spilberg, Charlie Chaplin sono stati i protagonisti di questa puntata, insieme ai fotografi e alle loro fotografie a cui questi registi si sono ispirati o che in qualche caso hanno semplicemente omaggiato.
Ascolta la puntata:
Il cinema e la fotografia sono mondi molto vicini tra loro. Il cinema può essere ritenuto un diretto discendente dell’arte della fotografia fissa. Da sempre questi due linguaggi si scambiano tecniche narrative, ispirazioni estetiche ed evocazione di sensazioni ed emozioni e la cinematografia prende continuamente spunto dall’arte fotografica per aumentare la possibilita’ di resa del significato e anche se spesso non ci facciamo caso, ogni singolo scatto nel cinema è realizzato accuratamente per dare un impatto visivo.
Questa interconnessione artistica permette di non avere limiti e di poter continuamente ricreare un universo artistico partendo da qualcosa di gia’ noto o semplicemente omaggiarlo, anche se spesso all’insaputa dello spettatore. Ma seguendo la puntata, potrete scoprire tutti i segreti dietro queste fotografie molto famose e vantarvi di saperne di più quando ne parlerete con qualche amico.
Nella puntata di “Rumore” di Martedì ci siamo immersi nella Francia degli anni 40’-50’. Il fotografo protagonista di questa puntata è famoso per essere riuscito a raccontare per immagini la “francesità”, le sue fotografie riflettono lo spirito della nazione e sono diventate sinonimo dello stile di vita francese.
Ascolta la puntata:
Uno dei suoi scatti più celebri è “Le Basier de l’hotel de ville”, una fotografia che cattura uno dei baci più conosciuti di sempre, entrato ormai nell’immaginario collettivo, ma che nasconde una storia che sfata la sensazione di spontaneità e naturalezza che a prima vista evoca.
Attraverso i suoi occhi vediamo un mondo ideale, il mondo come lui voleva che fosse, dominato dall’ingenuità dei bambini, dalla bellezza e dal romanticismo. Dunque, con le sue foto non siamo difronte ad una realtà oggettiva. Insieme ad Henri Cartier Bresson, Doisneau è uno dei primi esponenti del fotogiornalismo di strada, nelle sue fotografie c’è un profondo romanticismo, ma anche tutte le caratteristiche di quella che era la fotografia umanista.
Se vi foste persi la puntata, potete ascoltarla in podcast, ma non perdetevi il prossimo appuntamento Martedì prossimo alle 18.00.
Nella puntata di “Rumore” andata in onda Martedì, si è parlato delle fotografie di Man Ray, un artista poliedrico che nella sua vita si dedicò a pittura, scultura, cinematografia, oltre che alla fotografia. Comprò la sua prima macchina fotografica per fotografare le sue opere, ma scoprì una passione che sfruttò proficuamente come mezzo per esprimersi.
Ascolta la puntata:
Fu un esponente molto attivo del Dadaismo e fu il primo fotografo Surrealista. Le sue fotografie sono enigmatiche, allusive, estremamente simboliche. In alcuni casi celano metafore e significati nascosi, in altri si fa fatica a trovare un senso ai suoi lavori, che sembrano piuttosto un’impulsiva espressione personale che richiede un’analisi postuma e che lo spettatore è libero di interpretare in modo estremamente personale. Non dimentichiamoci che parliamo di un esponente del Dadaismo, di cui i suoi lavori abbracciano a pieno la filosofia.
Abbandonò l’America per inseguire gli ideali del Dadaismo in Francia, a Parigi. Il suo bisogno di provocazione e il suo desiderio di scuotere le coscienze, lo spinsero verso il mondo della “ribellione artistica”. Inoltre, nei suoi lavori c’è sempre una ricerca continua, che sfocia poi in invenzioni di vario tipo, come i rayogrammi e la tecnica della solarizzazione, entrambe tecniche scoperte per caso durante le sue sperimentazioni in camera oscura.
Seguite la prossima puntata di “Rumore” martedì prossimo alle 18.00 e seguiteci sui social. Su Instagram trovate la pagina del programma (rumore_rko), in cui trovate anche tutte le fotografie di cui si parla durante la puntata.
Come ogni Martedì con il programma “Rumore” abbiamo scoperto la storia di un nuovo fotografo. Questa volta il protagonista era Fan Ho, un fotografo appartente ad una cultura diversa rispetto a quella dei fotografi visti precedentemente. Con Fan Ho scopriamo la cultura orientale e nelle sue foto si capta questa diversità culturale.
Ascolta la puntata:
Le sue foto in bianco e nero conquistano l’osservatore per la loro eleganza, linearità e precisione. Le ombre e la luce sono una costante nei suoi scatti, quasi potrebbero essere considerati i veri protagonisti delle sue fotografie. Il collante di tutto questo è la filosofia del momento decisivo, per cui bisogna attendere che tutto sia perfettamente allineato.
La sua capacità è stata quella di riuscire a catturare le strade di Hong Kong quasi vuote o con pochissime persone, in un periodo storico in cui la città era in via di sviluppo e moltissime erano le persone che la abitavano. Le sue fotografie raccontano delle storie veicolate dalla sua personale visione, sono rappresentative della sua interiorità.
Fotografi come Saul Leiter e William Klein, di cui abbiamo parlato nelle scorse puntate, si sono dedicati al genere della Street Photography. Anche quella di Fan Ho è definita Street Photography, ma a differenza dei sopracitati, gli scatti di Fan Ho risultano molto pacati, ragionati e ponderati. Esprimono perfettamente non solo la personalità del fotografo, ma anche l’essenza della sua cultura di appartenenza. I suoi scatti possono indubbiamente essere accostati allo stile di Henri-Cartier Bresson, invece, che Fan Ho apprezava e molti sono i punti in comune tra i due fotografi.
Se vi siete persi la puntata di Martedì scorso, potete ascoltare il Podcast su Spreaker. “Rumore” torna Martedì prossimo, come di consueto, con nuovi artisti di cui parlare ed approfondire.
Nell’episodio di Rumore, andato in onda Martedì abbiamo scoperto la carriera di quello che è conosciuto come Horst P. Horst, un fotografo che ha lasciato un grande segno nella storia della fotografia di Moda del 1900. Durante la sua carriera ha avuto l’occasione di scattare ritratti di alcune delle celebrità più influenti degli anni ’30, ma la sua fama è legata prevalentemente alla sua carriera come fotografo di Moda.
In occasione della mostra "SONICA" che si terrà a Locorotondo tra il 9 e il 23 agosto 2020, abbiamo avuto modo di intervistare Guido Harari, l'autore delle fotografie che saranno in esposizione durante il Locus Festival. Oltre ad essere un fotografo, Harari è anche un giornalista musicale e i soggetti delle sue fotografie sono stati prevalenemente musicisti a livello nazionale e internazionale di fama indiscussa. In questa puntata non troverete solo la fotografia, ma musica, passione e molto altro tra le parole del fotografo Guido Harari.
Horst ha lavorato per le riviste di moda più conosciute, come Vogue, Vanity Fair e New Yorker, realizzando immagini creative, attraverso una grande attenzione alla composizione e all’uso delle luci. Con queste caratteristiche è riuscito a creare un suo stile personale e a trasformare in vera e propria arte la fotografia di moda.
Negli artisti di cui si è parlato nel corso delle puntate abbiamo visto fotografi che si sono dedicati a fotografare guerre, fame, rivoluzioni o disagio sociale. Altri che si sono dedicati al trash, al “brutto” della nostra società e pochi altri si sono dedicati all’arte e al bello. Horst è stato uno di questi, scegliendo di ritrarre il bello, il sensuale e di non farne solo mera estetica, ma trasformarla in forma d’arte ed esaltarne il valore.
Nelle sue fotografie non c’è solo l’intento di ritrarre vestiti o modelle, ma soprattutto di raccontare il sogno di bellezza, eleganza e glamour di quegli anni. La sua attenzione alle pose, alle ombre e alla composizione nelle sue fotografie ricostruiscono spesso pose ispirate all’arte classica. Il risultato sono soggetti che sembrano distanti, eterei, di una bellezza che è senza tempo.
Quello che ci insegna Horst è che l’arte non dipende dall’oggetto fotografato, ma dal soggetto che fotografa. Qualunque oggetto, attraverso la fotografia, può essere trasformato in uno scatto significativo. Horst ci dimostra, tra le altre cose, che che si può fare arte anche con una pubblicità.
Per scoprire nuovi artisti del mondo della fotografia seguite la prossima puntata di Rumore Martedì prossimo alle 18.
Nella puntata di “Rumore” di Martedì si è parlato di Saul Leiter, un pioniere della fotografia a colori. Pittore autodidatta e successivamente fotografo di moda, fu tra i primi ad utilizzare le pellicole a colori per i suoi scatti, nonostante la fotografia a colori fosse denigrata, non considerata arte e utilizzata solo nella pubblicità e nella moda. Iniziò scattando fotografie per le strade di New York, catturandone la vita e la frenesia, dando inconsciamente vita ad un nuovo approccio a quella che verrà poi definita Street Photography. Le sue fotografie a colori, però, sono rimaste sconosciute fino agli anni ’90, da li in poi sono diventate importantissime nella storia della fotografia.
Ascolta la puntata:
Giá nei suoi lavori in bianco e nero si percepisce l’impronta pittorica di Leiter. Le sue immagini sono ben composte, anche se spesso non secondo i canoni tradizionali. Ma è soprattutto nel colore che emerge la sua personalità. Qui il tocco pittorico è ancora più evidente: spesso cose e persone sono sfuggenti, riflesse o appannate e spesso è tutto molto confuso. New York perde il suo caos e diventa improvvisamente tranquilla.
Grazie allo sfruttamento di superfici sbiadite, alla sovrapposizione degli elementi nella scena e all’accostamento di colori brillanti, le sue fotografie assumono particolarità che le rendono immediatamente riconoscibili dallo spettatore. La sua poetica e sensibilità emerge dalle sue fotografie che subito conquistano l’attenzione dell’osservatore.
Per qualsiasi domanda, richiesta o consiglio, ma anche per osservare tutte le fotografie di cui si parla durante le puntate, trovate la pagina del programma su Instagram (rumore_rko). “Rumore” torna Martedì prossimo alle 18 per una nuova puntata.
Nella puntata di Martedì di “Rumore” si è parlato delle fotografie di Ralph Gibson, un fotografo americano affascinato dai piccoli pezzi di mondo, dai frammenti della vita di tutti i giorni. La sua è pura arte, si distanzia dalla fotografia documentaristica, molto diffusa in quegli anni, per dedicarsi ad un lavoro più intimo e personale, alla ricerca della propria interiorità e alla ricostruzione della propria visione del mondo. E’ considerato da qualcuno “Dio delle piccole cose” proprio per la sua capacità di catturare i piccoli dettagli rendendoli soggetti delle sue fotografie.
Ascolta la puntata:
Il suo approccio alla fotografia risale agli anni trascorsi nella marina militare. Dopo il suo congedo ha continuato i suoi studi presso il San Francisco Art Institute, svolgendo tirocini per Dorothea Lange, di cui si è parlato nella puntata precedente, e Robert Frank. Entrambi i suoi mentori erano fotoreporter, dunque orientati verso la fotografia documentarista.
Ralph Gibson decide di distanziarsi dalle scelte dei suoi colleghi fotografi a lui contemporanei, optando per una fotografia più introspettiva e personale. Difatti nelle sue fotografie vediamo la sua personale interpretazione del mondo, il suo punto di vista. Il suo primo lavoro è “The Somnambulist“, una sequenza onirica all’interno della quale Gibson racchiude l’essenza di questo suo nuovo approccio.
A questo suo approccio soggettivo e astratto, è stata abbinata una ricontestualizzazione delle immagini nella loro disposizione e nella loro sequenza, ridefinendo in questo modo il significato attraverso le immagini. Con lui nasce quindi un nuovo linguaggio visivo – un linguaggio che parla del mondo dei sogni, dei ricordi e del subconscio.
Insieme a queste innovazioni, Gibson rielabora il significato del fotolibro. Infatti Ralph Gibson ha spesso raccolto i suoi lavori in libri fotografici, apprezzandone l’unicità. Per Gibson i libri sono i mezzi narrativi che esprimono ciò che un fotografo pensa delle sue fotografie, perciò per lui il libro diventa un mezzo ideale per presentare le immagini lasciando lo spettatore libero di sviluppare una propria narrativa.
Per altre curiosità sul mondo della fotografia e su nuovi artisti seguite la prossima puntata di “Rumore” Martedì prossimo alle 18.